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L’utilizzo dell’acqua nell’industria alimentare

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acqua nell’industria alimentare

Un uso più sostenibile e razionale della risorsa idrica è un’emergenza. Ma è un imperativo che si scontra anche con le necessità della produzione industriale. Andrebbe rivisto l’impatto idrico che producono molte aziende e, di riflesso, molti settori. Già perché la maggior parte dell’acqua che utilizziamo non deriva dall’uso domestico, ma si “nasconde” dietro a ciò che consumiamo e in particolare dietro a quello che mangiamo. Quanta acqua ci vuole per produrre gli alimenti?

15.000 litri per un kg di manzo

L’acqua utilizzata nella produzione alimentare è di gran lunga superiore a quella utilizzata in qualunque altra attività. È usata sia per la produzione primaria, sia per le varie fasi di pulizia e lavaggio degli stessi alimenti e delle varie attrezzature.

Prendiamo la produzione di carne: questa, oltre ad essere responsabile del 15% delle emissioni totali di gas serra, è anche responsabile di un elevato consumo di acqua. Alcuni dati: per produrre un kg di carne bovina vengono utilizzati 15.000 litri di acqua. Per un kg di carne di capra il consumo è pari a 9.600 litri, per un kg di carne di maiale quasi 6.000 litri, per un kg di carne di pollo l’utilizzo è circa di 4.000 litri.
Se prendiamo in considerazione i prodotti agricoli il consumo di acqua diminuisce: per un kg di uova si usano 3mila litri di acqua, per un kg di cereali ne servono 1.000, per un kg di frutta circa 950 litri e per un kg di verdura i litri scendono a 322.

Questi sono indicatori, stime molto vicine alla realtà. L’acqua utilizzata, infatti, varia a seconda del tipo di produzione e della collocazione geografica, ma sono comunque dati che inquadrano bene la situazione.

Come si calcola l’impronta idrica di un prodotto

Scendiamo ora nello specifico, andando a capire come viene misurato l’impatto idrico di un prodotto. L’impronta idrica, detta anche Water Footprint, viene calcolata prendendo in considerazione l’acqua usata in tutta la filiera e in tutti i passaggi, dalla coltivazione al consumo. È un indicatore che permette di avere una visione completa del consumo idrico che gravita attorno a un prodotto.

Esistono tre tipologie di impronte idriche:

  • Verde, indica il consumo di risorse idriche contenute nelle piante e nel sottosuolo; ad esempio l’uso dell’acqua piovana.
  • Blu, indica il volume di acqua dolce prelevato dalle falde, utilizzato e non restituito. Sono le risorse idriche usate per scopi commerciali, industriali e domestici.
  • Grigia, è il volume di acqua dolce necessario per diluire il carico di inquinanti generati da un determinato processo. In altre parole è un indicatore che definisce l’inquinamento delle risorse idriche.

Passiamo a un esempio pratico: bere una tazza di caffè equivale a usare a 130 litri di acqua. Come abbiamo visto il Water Footprint prende in considerazione l’acqua usata in tutta la filiera produttiva, dalla coltivazione, alla raccolta, passando per la tostatura dei chicchi fino al prodotto pronto da essere consumato. E questo principio vale per quasi la totalità degli alimenti.

Siamo ciò che mangiamo?

Conoscere l’impronta idrica degli alimenti (e di ogni tipologia di prodotto) apre un’importante, e utile, riflessione sulle scelte alimentari e di consumo. Sapere quanta acqua viene usata per produrre ciò che mangiamo dovrebbe anche spingerci verso una nuova direzione: rivedere le modalità produttive, incrementare l’uso di acqua riciclata, ottimizzare gli impianti per ridurre lo spreco e la dispersione. E si deve farlo ora.