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Blue Economy, soluzioni dalla natura

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Nell’ultimo anno il dibattito pubblico sul climate change ha sollecitato riflessioni intorno a cause e fenomeni correlati: lo sfruttamento delle risorse naturali, l’inquinamento e la gestione dei rifiuti, l’esaurimento delle fonti tradizionali di energia, il contrarsi della biodiversità, l’impronta ambientale dei sistemi economici.
Le iniziative degli stati e della società civile hanno avviato – seppur in modo alterno e differente – strategie fondate su sostenibilità e green economy, dove ambiente, società ed economia sono fattori indissolubilmente legati. Nei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Unione Europea per lo sviluppo sostenibile si trovano, infatti, l’azione per il clima accanto a povertà e fame zero, la protezione delle risorse idriche e l’istruzione di qualità, l’energia pulita con pace e giustizia. È in quest’ottica che assume valore un concetto vicino alla green economy, meno noto e più radicale, che punta a soluzioni sistemiche: la blue economy.

Cos’è la blue economy

La blue economy è stata teorizzata dall’economista belga Gunter Pauli nel 2009. È di fatto la proposta di un differente modello di sviluppo. I principi e i casi esempio della blue economy sono stati illustrati nel libro The Blue Economy: 10 years – 100 innovations – 100 million, poi riediti in una versione 2.0 qualche anno dopo e visibili sul sito web dell’organizzazione. La teoria della blue economy indica come sia possibile ottenere più lavoro, più ricavi, più benessere, con meno investimenti per la tutela dell’ambiente e nel pieno rispetto dei limiti e dei tempi della natura. La sostanziale differenza con la green economy è l’assunto di partenza: con la blue economy non si tratta di ridurre le emissioni, ma di arrivare a emissioni zero, con un capovolgimento totale del punto di vista.

Tecnologia che imita la natura

La tutela dell’ambiente smette di essere un costo. Si deve ripensare l’economia in un sistema integrato, in cui una tecnologia avanzata “imita” i processi chimici, fisici, biologici alla base delle funzionalità degli ecosistemi naturali. Tra le caratteristiche del modello si trovano:

  • Biomimesi: ovvero la riproduzione dei processi naturali per migliorare le attività e le tecnologie umane.
  • Effetto a cascata: da una risorsa si innescano plurimi vantaggi.
  • Economia circolare: con il recupero totale degli scarti in più cicli produttivi.
  • Bioeconomia: l’economia che si fonda sulla conservazione delle risorse naturali.
  • Valorizzazione dei territori: il sistema di produzione è locale e si fonda su ciò che il territorio può offrire.
  • Valore sociale: il capitale umano è coinvolto favorevolmente nei processi, generando equità sociale.
  • Valore culturale: il sistema non può prescindere dal rispetto di cultura e tradizioni locali.
  • Diversità: la blue economy si fonda sulle peculiarità dei territori, rifugge quindi sistemi standardizzati e seriali.

Esempi di blue economy

È il sito stesso dell’organizzazione a fornire numerosi casi tipo di blue economy. In Italia, tra le applicazioni dei principi della blue economy, troviamo ad esempio i progetti di economia circolare di Versalis di Eni. È citata inoltre la joint venture Matrica per produzioni da materie prime rinnovabili come le bioplastiche.
Un’altra start up italiana che ha consolidato un nuovo business è Funghi Espresso che produce funghi utilizzando gli scarti del caffè come terreno di coltura.
Uscendo dalla casistica italiana citata dall’organizzazione, la stessa depurazione delle acque tramite tecnologie ecologiche è un buon esempio di economia circolare quando le acque vengono reimpiegate, ad esempio, nell’irrigazione.

Certamente la blue economy pone seri interrogativi e temi sfidanti. Un simile cambio di paradigma sottintende un mutamento di mentalità non immediato, ma non ci sono dubbi sulla necessità di perseguire in modo deciso nella salvaguardia del nostro pianeta.